Quelli che tra di voi mi seguono da più tempo si ricorderanno che qualche anno fa mi ero lamentata della scarsità del numero di traduzioni in italiano delle poesie di Mahmud Darwish (1941 – 2008).
Poi, nel marzo 2014, avevamo organizzato con altri amici, arabisti e traduttori una giornata italiana dedicata alle poesie di Darwish, per sensibilizzare il pubblico italiano sulla “scomparsa” di Darwish dalle librerie, e subito dopo (ovviamente non grazie a quella giornata eh), erano state pubblicate tre opere importanti: Una trilogia palestinese (Feltrinelli 2014, trad. dall’arabo di E. Bartuli e R. Ciucani, a cura di E. Bartuli), Stato di assedio (Edizioni Q 2014, trad. e cura dall’arabo di W. Dahmash) e Il giocatore d’azzardo (Mesogea 2015, trad. dall’arabo e cura di R. Ciucani).
A distanza di tre anni dall’ultima traduzione, sono molto lieta di annunciarvi che il 13 marzo arriva in italiano una bella novità: si tratta della raccolta Undici pianeti, tradotta dall’arabo e curata da Silvia Moresi e pubblicata dalla casa editrice Jouvence. La prefazione al volume è di Jolanda Guardi, direttrice della nuova collana Barzakh, dedicata alla letteratura araba, che fa la sua prima uscita pubblica proprio con le poesie di Darwish.

Undici pianeti (أحد عشر كوكباً ) è stato scritto da Darwish nel 1992 ed è senza dubbio uno dei massimi capolavori del poeta palestinese, che fu definito da José Saramago “il più grande poeta del mondo”.
Dal comunicato stampa che introduce il volume:
Undici pianeti, scritto da Mahmud Darwish nel 1992, è forse uno dei lavori più completi del poeta palestinese, ed è legato a un data chiave per la storia araba e mondiale, il 1492, anno della scoperta dell’America e della definitiva espulsione di musulmani ed ebrei dall’Andalusia. Questi due eventi sono i temi su cui ruotano le prime due sezioni dell’opera: Undici pianeti sull’ultima scena andalusa e Penultimo discorso del «pellerossa » all’uomo bianco.
Recuperando la storia di pacifica coesistenza dell’Andalusia araba, e quella dello sterminio dei nativi americani, Darwish racconta la tragica esperienza del popolo palestinese, privato del proprio passato e della propria terra. Il poeta “ritorna”, invece, al mito e alla storia cananea in Una pietra cananea nel Mar Morto e in Sceglieremo Sofocle in cui (ri)costruisce le fondamenta dell’identità del popolo palestinese per riaffermare la sua esistenza nella Storia. L’esilio nell’amore è l’esperienza narrata in L’inverno di Rita, mentre l’ultimo componimento, Un cavallo per lo straniero, è un’elegia per un anonimo poeta iracheno, che diviene elegia per l’intero Iraq, “assassinato” nella guerra del Golfo del 1991.
In attesa di leggere le poesie e di scrivere (a breve) una recensione su queste colonne, vi lascio con alcuni passi tratti proprio da Undici pianeti (courtesy di Silvia Moresi):
Il nostro tè è verde e caldo, bevetelo! I nostri pistacchi sono freschi, mangiateli!
Ecco i verdi letti di cedro, abbandonatevi al sonno
dopo questo lungo assedio, e dormite sulle piume dei nostri sogni.
Le lenzuola sono preparate, i profumi aspersi sulla soglia, e molti sono gli specchi
in cui potete entrare… e allora entrate, noi usciremo tutti! Presto cercheremo
quel che era la nostra Storia accanto alla vostra Storia in paesi lontani,
e ci domanderemo alla fine: Dov’era l’Andalusia?
Qui o lì… sulla terra… o in una poesia?
Ps – Penso che se adesso organizzassimo un’altra giornata dedicata alla poesia di Mahmud Darwish, avremmo molto più materiale su cui lavorare e da poter recitare. Chissà.
Si sa se c’è il testo a fronte? Grazie
No, non c’è!
Aaaah, che peccato! :( Opera comunque preziosa e interessante, immagino. Grazie
Evviva!
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