Nasce “Barzakh”, una nuova collana di traduzioni dall’arabo

Barzakh è la nuova collana di romanzi e poesie tradotti dall’arabo della casa editrice Jouvence. Ho rivolto alcune domande alla sua direttrice, Jolanda Guardi, docente di letteratura araba all’Università di Macerata, arabista, traduttrice e curatrice del blog Letture arabe.

Perché far nascere una collana di letteratura araba ora? Cosa ha di diverso Barzakh rispetto a collane dedicate alla narrativa araba esistenti e rispetto a collane che sono esistite in passato e poi hanno chiuso?

A posteriori, direi che il momento è quanto mai necessario perché leggere è una forma di resistenza per combattere la banalizzazione imperante in relazione al discorso sul mondo arabo. In generale poi, credo che non ce ne sia mai abbastanza, se pensi che il 90% delle traduzioni sono dalla lingua inglese e il 10% da tutte le altre lingue. Le traduzioni di letteratura araba sono una piccolissima parte di questo 10%, quindi credo che più ce n’è meglio è. Barzakh non nasce con la pretesa di essere diversa da altre collane, anche se ovviamente ciascuna ha una sua specificità che rimanda all’editore e a chi cura la collana, è ovvio. Una caratteristica che mi sento di sottolineare è che, accanto a una sezione narrativa, l’editore ha acconsentito ad aprire una sezione “poesia”, atto coraggioso (la raccolta di poesie Undici pianeti di Mahmud Darwish è stata la prima uscita, ndR). Spero che questa sezione permetta alle lettrici e ai lettori di conoscere e apprezzare poeti e poetesse contemporanee di vaglia che scrivono in arabo.

Ci spieghi perché hai deciso di intitolarla Barzakh?

La scelta è una decisione comune mia e dell’editore, cui il termine piace molto, anzi a dire il vero la proposta è partita da lui. E io l’ho subito accolta con piacere. Barzakh significa istmo, una lingua di terra che unisce due territori senza confonderli però. Ognuno conserva la propria specificità. Nell’ambito di una collana di traduzione, questo significa che le traduzioni non dovranno avere un approccio domesticante e che la scelta dei titoli da tradurre cercherà di essere più orientata verso opere che rispecchino cosa legge il pubblico arabo. Che non sempre coincide con quello che legge il pubblico occidentale.

30697760_1116532435155735_6748091021625655296_nIl primo titolo uscito è Bisturi, del tunisino Kamel al-Riahi: Bisturi è un romanzo uscito qualche anno fa in Tunisia, perché tradurlo come primo titolo?

La letteratura tunisina contemporanea è poco tradotta in italiano e mi sembrava potesse essere un buon inizio. Kamel Riahi, inoltre, è un autore emergente e, come altri autori del Maghreb ha una scrittura molto diversa rispetto ad altre autrici e autori. ll traduttore Francesco Leggio, inoltre, ha fatto a mio parere un ottimo lavoro. Credo sia un buon modo di cominciare…

 

Quali sono gli altri titoli (se puoi dirceli) e qual è il filo conduttore che ha guidato le scelte dei titoli della collana?

Preferisco non dir nulla finché le trattative sono in corso… comunque le scelte sono orientate verso opere contemporanee di autori e autrici anche mai tradotti in italiano e molto letti nel mondo arabo, o che abbiano a che fare con tematiche non scontate. Ma anche qualche “classico”, ossia titoli non recentissimi ma che hanno segnato la letteratura araba dalla seconda metà del ‘900 in poi.

C’è un romanzo che avresti voluto assolutamente inserire nella collana ma che era già stato tradotto da un altro editore?

Sicuramente La storia di Zahra di Hanan Ash-shaykh.

Tra l’altro, a proposito di scelte editoriali, una scelta ben precisa è stata quella di scegliere solo romanzi scritti in arabo: ci spieghi perché?

Beh, banalmente perché io mi occupo di letteratura scritta in lingua araba e non in altre lingue e credo che la scrittura romanzesca in questa lingua meriti di essere conosciuta. Questo ovviamente non significa che autori e autrici arabe che scrivono in altre lingue non rientrino nell’ambito della “letteratura araba”, perché sono convinta che l’appartenenza a una letteratura, se proprio ci deve essere, sia qualcosa di più che scrivere in quella lingua. Ma di questi già se ne occupano in molti, è una letteratura molto più visibile per una serie di motivi, mentre la scrittura araba lo è molto meno.

Cosa ne pensi di chi sostiene che sia in qualche modo “equivalente” tradurre un testo di una lingua extraeuropea a partire da una lingua ponte?

Tutto si può fare, per carità, ma non sono d’accordo. Tradurre dalla lingua ponte rappresenta un passaggio in più. Già si perde molto in traduzione, in qualunque traduzione, se poi utilizziamo una lingua ponte… credo sia anche una questione di rispetto nei confronti delle autrici e degli autori, rispetto della loro scelta di scrivere in arabo e della loro cultura di appartenenza. Quando leggo le proposte di traduzione leggo sempre anche il testo originale e, ovviamente, se il testo è stato tradotto da una lingua diversa dall’arabo, la cosa salta agli occhi. A volte si ha persino difficoltà a riconoscere l’originale. Le scuole di traduzione inglese e francese, inoltre, hanno per tradizione la tendenza a rendere la traduzione scorrevole eliminando anche passaggi interi – penso al recente esempio di Elogio dell’odio di Khaled Khalifa in traduzione inglese dove è stato eliminato l’ultimo capitolo senza che l’autore ne fosse a conoscenza – e traducendo da traduzioni così impostate il testo originale si perde ancora di più.

Cosa ti aspetti da questa collana, anche considerando che il mercato della narrativa araba tradotta in italiano non è ancora molto esteso?

Vorrei che le opere tradotte venissero lette il più possibile, perché sono certa che in tal modo l’immaginario sul mondo arabo cambierebbe.

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