“Fuori da Gaza”, fuori da tutto, fuori da qui

C’è che di libri ambientati a Gaza e che parlano di Gaza in italiano ne sono usciti pochissimi. Forse due, negli ultimi cinque anni, ma vado a memoria e potrei sbagliarmi. C’è che il secondo, dei due, è un libro rabbiosissimo e tenero che è stato eletto Guardian Book of The Year nel 2012.

L’autrice si chiama Selma Dabbagh, è anglo-palestinese e vive a Londra e il suo romanzo, opera prima, è Out of It, giustamente tradotto in italiano come Fuori da Gaza, e da poco pubblicato da Il Sirente nella collana altriarabi migrante, con la traduzione di Barbara Benini.

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Fuori da Gaza è la storia di una famiglia palestinese di Gaza: la madre, Jihan, un donnone forte e robusto che nasconde un segreto grande da far sgretolare una casa; Sabri, il figlio primogenito, che vive su una sedia a rotella perché in gioventù è stato vittima di un attentato, e che fa ricerche sulla Palestina del passato, guarda dalla finestra cosa accade a Gaza e prende appunti, sta scrivendo un libro ma ripensa sempre alla sua vita prima dell’attentato; Jibrìl, il padre, ex militante dell’OLP poi fuggito nel Golfo per nascondersi dalla vergogna del “segreto”; e poi ci sono i due veri protagonisti, i fratelli gemelli Iman e Rashid, 25 anni.

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Selma Dabbagh

Giovani, rabbiosi e appassionati, ognuno con un motivo per esserlo. Entrambi vogliono cambiare la propria vita ma con modalità diverse: la prima, all’inizio del libro, si lascia quasi convincere a diventare una kamikaze ma viene salvata in extremis da un combattente del “partito”, non quello degli islamisti che stanno prendendo il potere sempre più sulla Striscia. Rashid, che come la sorella si sente fuori luogo a Gaza, ha appena ottenuta una borsa di studio per andare a studiare a Londra, dove potrà finalmente ricongiungersi con la sua ragazza inglese, Lisa, una attivista per i diritti dei palestinesi.

La prima parte del libro, ambientata a Gaza, è molto poetica e tenera: Dabbagh ci fa entrare nei pensieri di Rashid e Iman, nella loro casa di famiglia, l’unica sopravvissuta agli espropri degli israeliani, nei ricordi struggenti di Sabri. C’è una perfetta corrispondenza tra la narrazione, dettagliata e mai scontata, dei pensieri e quella delle azioni dei personaggi, che si perde leggermente nella parte centrale del romanzo, ambientato tra il Golfo e Londra, per poi riprendersi di nuovo sul finale, in cui l’azione ritorna a Gaza.

Anche se i protagonisti sono due, è Rashid quello di cui seguiamo con più attenzione e cura le orme nel libro. Un ragazzo alto, bello, che fa colpo sulle donne. Confuso, dall’identità incerta, è alla ricerca di un obiettivo nella vita. Quando si trasferisce in Inghilterra, gli succede che Londra non è come se la aspettava e Rashid si sente ancora una volta fuori luogo. E’ uno sradicato, un senza casa, senza famiglia. Lisa, la sua ragazza inglese, e gli amici di lei lo considerano solo in quanto palestinese, come se fosse un etno-oggetto/uomo di cui vantarsi (vedete, sembrano dire tutti, lui è Rashid, è pa-le-sti-ne-se, di Gaza) o a cui chiedere consigli sulla geopolitica del Medio Oriente. Ci sono pagine estremamente critiche in cui l’autrice tratteggia gli attivisti pro Palestina usando parole molto crude, quasi deridendoli.

Ma Rashid ha solo 20 anni, non ne può più di questa Palestina che lo occupa (“la Palestina ci occupa”, aveva detto tempo fa, in un incontro pubblico, Suad Amiry, scrittrice e architetto palestinese) e lo incasella in uno spazio angusto e stretto. [Come angusta e stretta è la Striscia di Gaza, che nel libro emerge con tonalità grigio-nere, come se fossimo in un fumetto di Joe Sacco. Sentiamo gli spari dei fucili, i ruggiti del mare in lontananza, i rantolii di elicotteri e droni che spiano i gazawi dall’alto].

Rashid vorrebbe solo l’amore di Lisa, e vorrebbe una famiglia che lo stimi e lo sproni a vivere una sua vita, non un frammento di esistenza che si specchia in una storia famigliare drammatica, di cui si sente solo un inutile avanzo. Ha un sacco di rabbia e rancore, Rashid, che è sul punto di esplodere in un modo o nell’altro, fuori o dentro Gaza, fuori o dentro di lui.

Ecco perché Fuori da Gaza è sì un libro su Gaza, sulla miseria dei palestinesi, nonché una critica all’establishment palestinese e ai gruppi radicali islamisti, ma è anche un libro sullo spaesamento dei giovani palestinesi e arabi (o forse, dei giovani di oggi in generale?). Che non si sentono più parte di nulla, né dentro i propri confini, né al di fuori. Perché se da una parte – dentro il proprio mondo – il peso della storia, della famiglia e delle ideologie sembra comprimerne l’identità, dall’altra parte – fuori da lì – è lo sguardo dell’Altro che li schiaccia su uno stereotipo (arabo, palestinese, gazawi, musulmano) difficile da sfuggire.


Sabato 25 novembre presenterò il libro, insieme alla sua autrice, a Roma alla Libreria Griot. Appuntamento alle 19.00 in via di Santa Cecilia 1/a. Vi aspetto.

3 commenti

  1. Peccato non esserci, Chiara. Dalla sintesi ragionata che ne fai mi sembra di grande interesse. Soprattutto una parte mi ha colpito molto e la condivido in pieno. Poi avendo conosciuto un po’ Gaza in due momenti e situazioni diverse ed essendoci rimasta per un po’, questo romanzo mi intriga. Hai previsto una presentazione a Milano per caso? e se si quando? se invece non l’hai prevista potremmo pensarci visto che io ormai sto più a Milano che non a Roma. A Roma verrò solo per due giorni e per un’iniziativa specifica il 1° dicembre e cercherò di procurarmi il libro andando alla Griot. Fammi sapere. Un caro saluto Patrizia

    Patrizia Cecconi Presidente Associazione Oltre il Mare,onlus http://www.associazioneoltreilmare.com tel/fax +39.065880187 – mob.+39.3476090366 *A volte il silenzio è tradimento (M.L.King)*

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