Alla ricerca di Caravaggio e Lorenzetti con Hisham Matar

A inizio anno sono andata alla Galleria Borghese, il museo che sta dentro Villa Borghese. Ancora non eravamo in emergenza COVID-19, e il museo era pieno di persone nonostante fosse una domenica di gennaio particolarmente assolata. Ci ero andata – benchè io non sia una fan sfegatata dei musei (sic) – dopo aver terminato la lettura di A Month in Siena, ultimo libro di Hisham Matar (che qualche mese dopo sarebbe apparso in traduzione italiana per Einaudi col titolo Un punto di approdo, trad. di Anna Nadotti) che muove le mosse proprio dal museo e in particolare dal quadro di Caravaggio “Davide con la testa di Golia”.

La copertina contiene un indizio su una parentesi “araba” che Matar apre nel libro

Dopo la visita avevo scritto una recensione, che per pigrizia non avevo più pubblicato. Poi è arrivata la pandemia e tutto è passato in secondo piano, anche quello che avevo scritto a proposito di A Month in Siena, che pur avevo amato molto. Al punto che a settembre ero voluta andare a Siena qualche giorno (anche) per vedere un altro dei quadri di cui Matar parla di più nel libro, ovvero “Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo”, del pittore senese trecentesco Ambrogio Lorenzetti. (È in effetti curioso che un’italiana vada per musei ispirata da uno scrittore anglo-libico che ha un rapporto complesso con l’Italia. Ma ho imparato a capire negli anni che le vie della letteratura sono diverse e particolari e il mio peregrinare per musei italiani grazie alla lettura di un libro di un autore arabo lo considero un motivo di orgoglio). Fatto sta che la recensione era rimasta chiusa nel cassetto, ma visto che Hisham Matar tornerà virtualmente in Italia nei prossimi giorni ho pensato fosse il momento giusto per tirarla finalmente fuori.


Qualche settimana fa sono andata alla Galleria Borghese a vedere il quadro di Caravaggio “Davide con la testa di Golia”. Vale sempre la pena prenotare una visita in questo piccolo ma delizioso museo incastonato dentro Villa Borghese, che contiene opere di enorme valore artistico ed è inoltre, di per sé, un autentico gioiello. Il capolavoro di Caravaggio si trova in una delle sale, insieme ad altre opere: non ha una sala tutta sua e lo devi andare a cercare. Se non sai che sta lì, te lo trovi semplicemente davanti. Io ci ero andata appositamente dopo aver letto lo scrittore premio Pulitzer Hisham Matar che parla di questo dipinto nel suo ultimo libro, A Month In Siena, pubblicato lo scorso anno da Penguin Press. L’analisi di Matar era stata così potente ed evocativa da convincermi a prenotare una visita in un museo di domenica, il giorno prediletto dai romani per andare in giro per la città e per musei (e infatti la Galleria Borghese era stipata di persone, italiani e stranieri quasi in egual misura), complici anche le miti temperature.

A Month in Siena è stato scritto da Hisham Matar dopo aver completato la stesura del memoir Il ritorno (Einaudi 2017), che nel 2017 gli è valso il Pulitzer per la sezione Autobiografia. Racconta della passione dello scrittore per la pittura senese, sviluppata quando a 20 anni viveva a Londra, suo padre era da poco scomparso e per dimenticare la sua personale tragedia visitava ogni giorno la National Gallery, in cerca di conforto. Sollievo che aveva trovato nei dipinti dei pittori della scuola senese, così imperfetti, potenti, autentici e pieni di speranza per il futuro.  Finito Il ritorno, Matar e sua moglie Diana avevano prenotato un volo per Siena, città in cui Matar soggiornerà per un mese, da cui il titolo del libro.

A Month in Siena però non è solo – ovviamente – il racconto delle peregrinazioni di uno scrittore per la città toscana. A Siena, Matar intreccia un dialogo profondissimo e poetico tra l’uomo, la natura, l’arte, la vita e la morte. Nell’andare a cercare i capolavori dell’arte senese del Trecento, lo scrittore si immerge nella vita senese, si perde nei vicoli del centro storico, osserva i senesi, cerca di cogliere cosa leghi i cittadini della Siena contemporanea a quella trecentesca. Scopre in Siena quella perfetta comunione dei sensi, che poche volte capita nella vita dell’essere umano: sentirsi finalmente al posto giusto nel momento giusto.

Siena è per Matar la “casa dell’anima”, e l’arte senese è la linfa che rende fluidi i suoi pensieri. Le sue riflessioni sulle opere d’arte che visita nella città (va nel Palazzo Pubblico di piazza del Campo così di frequente che diventa un volto noto per gli addetti alla sicurezza a guardia delle sale: questi gli consigliano addirittura di portarsi una sediolina per osservare i quadri, così da stare più comodo, e sono quegli addetti che lo scrittore osserva nel tentativo genuino di indovinare i loro pensieri e capire i legami che hanno instaurato con quei quadri che vigilano silenziosamente ogni giorno, nella quiete del museo, che assurgono quindi quasi al ruolo di numi tutelari dei quadri e non semplici guardiani, questo pensa Matar e costringe il lettore a porsi la stessa domanda: cosa pensano le persone che di lavoro vigilano sui quadri, ogni giorno? ), dicevo, le sue riflessioni su Davide e Golia di Caravaggio e su tutti gli altri quadri le cui riproduzioni a colori sono contenute nel romanzo rendono pienamente giustizia alla sua grande capacità di esplorare i sentimenti umani. In questo libro, Matar da scrittore si trasforma in storico della città di Siena e critico d’arte: i sentimenti che sgorgano dall’osservazione partecipata dei quadri diventano delle piccole lezioni di arte, del tutto diverse da quelle apprese nei libri di storia dell’arte a cui noi profani e digiuni della materia siamo stati abituati.  

Quasi profetica è la riflessione che l’autore fa sulle conseguenze dell’epidemia di peste (the Black Death) che nel 1348 si abbatte sulla città, modificando radicalmente lo stile di vita delle persone e il rapporto dell’uomo con la morte.

“[…] after the world had undergone a momentous transformation. Notions of life and death were forever altered. A shadow had fallen and has remained here with use ver since, affecting all sorts of human enterprises, perhaps the greatest of which is the imagination”.

In questo nostro momento storico così gravido di radicali cambiamenti mi sembra che ci torni di conforto leggere il libro di Matar, per sentirci meno soli, per ricordare a noi stessi che la storia è ciclica e che se il mondo è sopravvissuto – modificandosi – nel lontanissimo Trecento, forse possiamo farlo anche noi trovando il nostro “punto di approdo”. Magari facendoci aiutare dalla poetica di uno scrittore di origini libiche, che scrive in inglese e ci racconta la pittura senese.

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