“La casa dei notabili” è il romanzo sulla Tunisia da leggere ora

Quella che segue è la recensione del romanzo La casa dei notabili, di Amira Ghenim, trad. dall’arabo di Barbara Teresi (e/o, 2023). Titolo originale: نازلة دار الأكابر pubblicato nel 2020 dalla casa editrice Dar al-Mesaa. È stato finalista al premio IPAF nel 2021.

Quando si chiude l’ultima pagina del romanzo La casa dei notabili, si ha la netta sensazione di essere appena usciti da un giro vorticoso della ruota del tempo, o da un quadro incredibilmente affollato e ricco. A me così è successo, e ho avvertito questa sensazione tanto più che poco dopo ho cominciato a leggere il romanzo di un’altra scrittrice tunisina, questa volta francofona, molto più scarno e piatto. Non che tutti gli autori di ogni paese ovviamente debbano avere lo steso stile, ma il paragone tra le due autrici mi è parso da subito così lampante che non ho potuto fare a meno di sottolinearlo a mente. E la ricchezza delle descrizioni, delle immagini, dei personaggi e della lingua che si ritrovano in La casa dei notabili è emersa in maniera ancora più netta.

Ambientato a Tunisi a metà degli anni ’30, il secondo romanzo dell’accademica e autrice tunisina Amira Ghenim, è un omaggio alla figura dell’intellettuale e riformatore tunisino Taher al-Haddad, autore nel 1930 del testo La nostra donna nella sharia e nella società che quando uscì creò un tale scalpore da renderlo un reietto fino alla fine della sua vita, condannandolo alla miseria e alla vergogna. Al-Haddad è il protagonista silenzioso di questa grande saga familiare che è allo stesso tempo un affresco sociale, politico e culturale della Tunisia di quel periodo.

La casa dei notabili (il titolo originale in arabo in realtà potrebbe essere tradotto come “La sciagura della casa dei notabili”) ruota attorno alle vicende capitate all’interno di una famiglia altolocata e molto conservatrice di Tunisi, gli en-Neifer, composta dalla madre lella Jnaina, il padre si Othman, i due figli Mohsen e Mhammed e la nuora Zubaida, moglie di Mohsen. La tranquilla vita domestica viene completamente scombussolata dall’arrivo di una lettera per Zubaida durante una sera come tante, quando la famiglia è riunita nella grande casa nella medina di Tunisi. Sarà l’inizio di una serie di eventi drammatici che coinvolgeranno anche la famiglia di Zubaida, gli ar-Rassa, progressisti e liberali, nonché le domestiche degli en-Neifer e altri personaggi.

Ghenim infatti costruisce un romanzo a più voci dove ogni capitolo è affidato a un personaggio diverso che racconta i fatti di quella tragica notte dal proprio punto di vista, svelando di volta in volta dettagli e retroscena diversi e arricchendo il racconto con altre storie che hanno per protagonisti personaggi diversi, impigliati nelle maglie della società, della politica, e della cultura tunisina di quel tempo e dei decenni successivi. Così, in quasi 400 pagine, emerge un affresco vivacissimo della Tunisia di quel periodo fondamentale per la sua storia, quando il protettorato francese e la reggenza ipocrita del bey si scontrarono con le pulsioni e le speranze all’indipendenza di parte della società tunisina, mentre sullo sfondo già si ergeva il confronto tra chi era favorevole all’istruzione e ai diritti delle donne e chi ancora contrario. Sarà il primo presidente della nuova Tunisia indipendente, Habib Bourghiba, a sancire la vittoria dei primi sui secondi con la promulgazione, nel 1957, del Codice dello statuto della persona, che garantì alle donne tunisine grandi diritti, scuotendo alle fondamenta una società ancora molto patriarcale e ridando gloria e fama all’intellettuale che per primo, a metà degli anni ’30, aveva tracciato il passo: quel Taher Haddad, la cui vita sfortunata fa da sfondo alle vicende raccontate nel libro.

Ma La casa dei notabili è anche molto altro: è un romanzo che trabocca di aneddoti e descrizioni della ricca varietà della cucina tunisina – e in particolare dei suoi buonissimi dolci –, e di proverbi e modi di dire comuni, di jinn, ghul, credenze e magia popolare. È un libro che si addentra nei vicoli della medina, tra il suq delle shashia (il tipico copricapo tunisino in lana pettinata, ancora in vendita nella medina di Tunisi) , le botteghe dei panettieri e dei salassatori, nei salotti degli intellettuali e nei giardini rigogliosi dei nobili della città, tra le casa chiuse dove lavorano le prostitute ebree, italiane e tunisine, e tra gli allievi della Grande moschea Zaytouna. È un libro incredibilmente dettagliato, dove l’autrice sembra volerci far conoscere ogni minuzia della vita dei tunisini di quegli anni, facendo sfoggio di una cultura e una proprietà di linguaggio non comune – come ha detto Barbara Teresi, la traduttrice, che in questa traduzione ha davvero dato una prova eccellente, scegliendo un italiano altrettanto ricco e colto, ma sempre di facile e scorrevole lettura.

È anche un romanzo femminista, come ha detto qualche lettrice durante l’ultimo incontro del nostro gruppo di lettura. Io direi che è un romanzo che dovrebbero leggere i tanti italiani e italiane di Tunisia, le persone che vivono in Italia e che sono legate alla Tunisia e in generale chiunque ami le saghe familiari, quelle che ti devi mettere comoda a leggerle perché non si fanno mollare fino alla fine. È un romanzo che dovrebbe leggere soprattutto chi oggi parla a sproposito di un paese che dista così poco dal nostro e di cui continuiamo volontariamente a ignorare quasi tutto.

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