“I pastori di Arcadia”, di Mohamed Fitelina

Pubblico oggi la recensione di un romanzo scritto dal romanziere algerino Mohamed Fitelina, uscito in arabo lo scorso luglio e inedito in italiano. E’ una storia ambientata nell’Algeria post-coloniale, come ben racconta Marianna Massa che lo ha letto e recensito. Buona lettura!

di Marianna Massa *

I pastori di Arcadia (Dammah ed.) è l’ultimo romanzo dello scrittore algerino emergente Mohamed Fitelina. Si tratta del racconto a due voci di un amore segreto e proibito sullo sfondo coloniale dell’occupazione francese in Algeria. La storia è narrata alternativamente dai due amanti, Taleb, alias “Eugé Frou”, insegnante di lingua francese algerino, e “Arcadia”, colona francese che insegna la stessa materia del suo amante nella stessa scuola. 

(La copertina del libro, courtesy di M. Massa)

Cinquant’ anni dopo il loro distacco, Arcadia attraversa il mare dal porto di Marsiglia e si trova in un albergo a Hassi Bhabah, dove si reca per andare a far visita al suo amante algerino. Mentre aspetta, inizia a scrivere i suoi ricordi.

“Per i figli della comunità algerina in Francia, Marsiglia non è solo una città del Nord che si affaccia verso la sponda meridionale, ma è una seconda patria. La parola “patria”, qui in Algeria, ha un’accezione particolare”.

Ad unirli è il loro amore condiviso per la cultura francese, per i dipinti di Eugène Fromentin e per la lingua. A separarli c’è la brutalità coloniale, la convinzione, da parte di Arcadia, che l’Algeria sia francese, e la convinzione, da parte di Eugé, che l’Algeria possa essere solo algerina: “Per quanto mi riguarda, non so quale sia il vero legame tra la sua bella lingua che ho studiato, e l’impero coloniale che apre poche scuole e molte prigioni”.

Questo topos della narrazione è ripreso anche nelle chiacchierate di Eugé con Mustafa, il gestore di un chiosco vicino alla fermata dell’autobus: “Taleb, la Francia è come una bella donna che ci seduce in vita e ci porta alla morte (…) Come fai ad amare una lingua e a odiarne la sua gente? Sei proprio strano, Taleb”.

(Mohamed Fitelina, courtesy di M. Massa)

Segno vivente di questa insolubile contraddizione è il figlio malato che Arcadia partorisce in segreto, dopo essere scappata in Francia alla fine della colonizzazione. Segno che marcherà per sempre l’esistenza di Arcadia, ma non quella di Eugé, che ne resterà ignaro. Segno che si fa strada piano nel corpo di Arcadia e nella sua psiche, scalfendo il suo patriottismo dal giorno in cui capisce che è ora di lasciare l’Algeria.

Quando sua madre le chiede:

“Cosa ha spinto De Gaulle ad arrendersi agli algerini, con tutto l’esercito che aveva al seguito?”

“La vita non concede ai generali che una vittoria sola, mamma”.

Dalle riflessioni di Arcadia al momento del distacco, scaturisce il conflitto interiore tra l’essere francese e l’appartenenza a una patria che sembra tradire la propria identità, violando i principi di libertà, fratellanza e uguaglianza. Anche questa contraddizione è incarnata da un altro personaggio: Raymonde Pechard, sorella di Arcadia tanto da sentirsi legata all’Algeria come se fosse una seconda patria e non una colonia. Raymonde è una militante anticoloniale. Nel momento in cui la sua patria tradisce i valori della Rivoluzione Francese, su cui si basa l’identità della Francia, lei sceglie di stare dalla parte dei valori, contro i coloni oppressori, che sono paradossalmente i suoi compatrioti. 

La scrittura di Ftelina è quindi una scrittura di contrasti, non solo negli ideali ma anche nella concezione del tempo. “I Pastori di Arcadia” infatti, è una storia di presente che si intreccia col passato, di odio che si intreccia con l’amore, di suoni, odori e polvere, lingue diverse e sentimenti uguali che superano tutte le barriere, mentali, spirituali e fisiche. È la storia di un ritorno dopo una lunga assenza, per recuperare i fili di un’esistenza, quella di Arcadia, che, nonostante le convinzioni coloniali giovanili, continua ad essere dilaniata dal paradosso della realtà dei fatti.

É anche la storia di un amore anziano che sfida il tempo: 

“Pensavo, mentre tornavo in albergo a passi da anziana, che non avrei potuto immaginare che, dopo tutti questi anni, Eugé Frou portasse ancora lo stesso profumo. Credetti allora in quella concisa profezia di Zakharova quando mi disse “Il tuo destino sa di gelsomino”. “

Zakharova è la guaritrice amazigh che vive sola nel deserto algerino. A lei si rivolgono i casi estremi. Zakharova cura i suoi visitatori senza discriminazioni, con un’ospitalità pura come il profumo dei suoi unguenti. Lei è l’incarnazione dello spirito primordiale dell’Algeria, qualcosa che nessun disastro coloniale può alterare.

L’immagine dell’unica soluzione possibile di convivenza tra l’identità di popoli diversi sembra essere impersonata da Henri Bodiac, il direttore della scuola di Hassi Bahbah, dove insegnano Eugé et Arcadia, che indossa il completo occidentale nel suo ufficio e la “abaya” algerina fuori dalla scuola. Nella sua casa si sentono “odori moreschi, turchi e latini”.

Con questo ensemble di personaggi e fili che si intrecciano, Ftelina ci  immerge nella realtà algerina ai tempi del colonialismo e dell’epoca successiva all’indipendenza, già sperimentata nel suo romanzo precedente “Café Riche”. L’autore è al momento impegnato a scrivere il terzo romanzo che formerà così una trilogia post-coloniale.

*Marianna Massa è dottoranda in lingue straniere, arabo e francese, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, traduttrice di due romanzi dall’arabo all’italiano (La Melodia del Piano, di Abou Shareb, e Vergogna tra le Due Sponde, di Ezzat Al Kamhawi), un romanzo dall’italiano all’arabo (Guardati dalla mia fame, L. Castellina, M. Agus, tradotto “a quattro mani” insieme ad Islam Fawzi) e un romanzo dal francese all’arabo (Pierre et Luce, Romain Rolland). Da più di dieci anni si divide tra l’Italia e l’Egitto, dove, dopo aver ottenuto un diploma in traduzione audiovisiva presso l’American University in Cairo, si occupa di traduzione per il cinema.

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