Maria Avino ha vinto il Premio Lattes per la traduzione 2020 con la traduzione di “Morire è un mestiere difficile” di Khaled Khalifa

 È Maria Avino, con la sua traduzione del romanzo Morire è un mestiere difficile, dello scrittore siriano Khaled Khalifa, ad essersi aggiudicata la prima edizione del Premio Lattes per la Traduzione, che per questa prima edizione è stato dedicato alla narrativa araba.

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Maria Avino, traduttrice e docente accademica

La cerimonia di premiazione si è tenuta sabato 18 luglio nelle Langhe, precisamente nel giardino del Castello di Perno (Cn).

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Questo meraviglioso Castello, per la precisione

La giuria specialistica così ha motivato la vittoria: “La decisione – spiegano Isabella Camera d’Afflitto, Manuela E.B. Giolfo, Claudia Maria Tresso  della Giuria specialistica –  ha tenuto conto del contributo che non solo con questo lavoro, ma anche con quelli realizzati in oltre vent’anni di attività, la traduttrice ha recato alla diffusione della letteratura araba contemporanea in Italia: un contributo che si avvale ora di un’opera, come questa di Khaled Khalifa, di indubbio interesse nella situazione attuale di un mar Mediterraneo attraversato da profughi e migranti. La complessa situazione della Siria in cui il romanzo si colloca, e a cui gran parte del pubblico italiano è poco avvezzo, non ha impedito alla traduttrice di realizzare una versione stilisticamente matura – non solo scorrevole, ma anche elegante, non solo fruibile, ma anche avvolgente – del testo di partenza. Pur mantenendo una fedele aderenza all’originale, ella ha saputo rispettarne il registro senza appesantirlo con apparati critici e inserendo con moderazione le parole in lingua originale”.

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Un momento della premiazione, con le altre finaliste: Barbara Teresi, Nadia Rocchetti, Samuela Pagani e Monica Ruocco.

Maria Avino insegna Lingua e letteratura araba all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, dove si è laureata e ha conseguito il dottorato di ricerca in “Vicino Oriente e Maghreb dall’avvento dell’Islam all’età contemporanea”. Ha iniziato a studiare arabo a Tripoli (Libia) dove è nata nel 1961. Ha effettuato soggiorni studio in diverse città arabe, in particolare a Damasco. I suoi principali campi di studio sono la divulgazione della letteratura occidentale nel mondo arabo durante il periodo noto come Nahḍa, il movimento di traduzione nei paesi arabi tra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, e il dibattito tra modernisti e conservatori, temi a cui ha dedicato la monografia intitolata L’Occidente nella cultura araba. Dal 1876 al 1935 (Jouvence, 2002) e numerosi articoli pubblicati in Italia e all’estero. Altro campo di ricerca è la letteratura di viaggio, in particolare il viaggio in Europa di intellettuali e ambasciatori arabi tra la fine del XVIII secolo e i primi decenni del XX secolo. Ha tradotto romanzi e raccolte di racconti di diversi autori arabi, tra cui Muhammad Shukri, ‘Abd al-Salam al-‘Ugiayli, ‘Abd al-Rahman Munif, ‘Aliya Mamduh, Ibrahim al-Kuni, Salwa Bakr, Alì al-Muqri, Raja Alem, Khaled Khalifa. Ha effettuato l’aggiornamento della Grammatica Teorico-Pratica della Lingua araba di Laura Veccia Vaglier.

Khaled Khalifa è nato ad Aleppo (Siria) nel 1964. Tra i fondatori della rivista letteraria Alif, è autore di quattro romanzi tra cui Elogio dell’odio. Vive a Damasco ed è autore di sceneggiature di film e serie tv e. Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città ha vinto la Naguib Mahfouz Medal per la Letteratura nel 2013 ed è stato finalista dell’International Prize for Arabic Fiction nel 2014.

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Morire è un mestiere difficile è stato pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Bompiani, che di Khalifa aveva già tradotto Elogio dell’odio e Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città

“Bulbul ha appena perso il padre, che giace in un ospedale di Damasco. L’ultima promessa che gli ha fatto è stata di seppellirlo accanto alla sorella nel suo paese natale, vicino ad Aleppo. Solo quattrocento chilometri, ma a separare le due città c’è un solco più profondo: Damasco infatti è sotto il controllo del regime di Assad, mentre Aleppo è nelle mani dei ribelli. Viaggiare dall’una all’altra con una salma si rivela presto un compito molto arduo, che Bulbul condivide con il fratello Huseyn e la sorella Fatima. Tra controlli, sbarramenti e minacce, i tre ricostruiscono insieme il ricordo del padre e il loro legame, un appiglio di umanità tra i marosi della guerra. Con questa odissea dolorosa e surreale Khaled Khalifa racconta di nuovo il presente siriano e ci mostra senza sconti la quotidianità di chi vive tra le macerie”.

Quale miglior modo di un premio così prestigioso per far conoscere la narrativa siriana e araba ad un pubblico più vasto?

E voi lettori, lo avete già letto? Vorreste leggerlo? Vi leggo nei commenti, se volete.

8 commenti

  1. Gentile Chiara Comito,

    mi permetterei di essere una voce fuori dal coro sulla guerra in Siria.
    Ricorderei solo che lo scrittore Khaled Khalifa continua a sostenere l’uso delle bombe chimiche sulla popolazione siriana da parte del governo Bashar al-Assad, bombe usate durante la guerra in Siria. Opinione poi smentita da numerose ricerche indipendenti internazionali.
    Il premio, non lo assegnerei all’autorevole traduttrice, ma ai soldati siriani che hanno difeso la patria siriana e il governo legittimo a guida di Bashar al-Assad contro l’aggressione imperialista di ben 85 paesi.

    Cortesemente.

    Stefano Valsecchi

    • Stefano glielo dico educatamente: sul mio blog questo tipo di commenti filo-Assad non sono i benvenuti. Vada a fare la propaganda presso altri siti grazie.
      Chiara Comito

      • La ringrazio “educatamente”della sua risposta, ma per “onestà intellettuale” di cui dovrebbe anche lei farne parte,dovrebbe dare voce (fuori dal coro) a chi non ha, anche sull’aggressione imperialista di ben 85 stati al governo laico a guida Bashar al-Assad.

        Cortesemente

        Stefano Valsecchi

    • l’uso delle armi chimiche da parte del regime assadista sono le fosse di Katyn della nostra generazione. In entrambi i casi ci sono ampie e ben documentate prove, ma in entrambi i casi ci sono persone che per ragioni “politiche” e per anni (nel caso del massacro sovietico decenni, spero che almeno in questo caso non si vada avanti tanto a lungo) si sono arrampicate sui vetri per negare l’ovvio.

      • Mi permetta Finrod di replicare al suo commento. L’organizzazione internazionale OPCW “The Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons” che ha sede a l’Aja nei Paesi Bassi ha condotto una ricerca scientifica dimostrando che il governo di Bashar al-Assad non ha mai condotto nessun attacco chimico. Alla stessa conclusione è arrivato il Premio Pulitzer Robert Fisk nella sua indagine giornalistica. Per quanto riguarda l’eccidio dei 18000 ufficiali e sottufficiali polacchi avvenuto nella foresta di Katyn, la ringrazierei di ricordarne, perché della questione mi ero modestamente occupato. Ricorderei che il processo di Norimberga aveva stabilito che a compiere questo eccidio furono i nazisti hitleriani. Altre commissioni russe-polacche avevano confermato tutto ciò. Un altra prova di colpevolezza è stata trovata nel diario di Goebbels doveva scriveva che erano stati trovati nelle fosse pallottole usate dai nazisti, preoccupato che il castello di menzogne creato crollasse. Mi permetterei di consigliare la formidabile ricostruzione storica di quell’avvenimento dello storico Ella Rulle, che può trovare facilmente in rete. Alla gentile Chiara Comito mi permetterei di chiedere un aiuto, dato che segnala onesti e capaci traduttori anche se in lingua araba, perché sono in possesso del libro in lingua polacca di Boleslaw Wojicki “Prawda o Katyniu” (La verità di Katyn) edito in Polonia negli anni 50.
        Ho proposto il libro a varie case editrici italiane, ma la difficoltà e il costo della traduzione ha stoppato anche quelle che si erano dimostrate interessate.
        Un libro che sarebbe importante per stabilire una verità storica anche su Katyn. Rimango a disposizione, augurandomi di ricevere contatti dove potrò rivolgermi per la traduzione del libro.

        Ringraziando per l’attenzione.

        Stefano Valsecchi

      • Questo è un blog sulla letteratura araba. Commenti elogiativi del regime degli Assad non sono più tollerati o ammessi. Grazie per la comprensione.

  2. OBBEDISCO! Non mi permettero più di intervenire, e poi nei commenti per difendere il governo legittimo siriano di Bashar al-Assad e dalle menzogne che ci vendono, che sacrilegio! Buon proseguimento nel suo cammino “letterario” sempre allineato e coperto.

    Stefano Valsecchi

    • Le scrivo in replica non di questo ultimo commento, ma alla breve discussione che ne è nata, focalizzandomi più sulla questione della traduzione. Certamente la letteratura non nasce se non come espressione di individui presenti nel loro tempo e condizione storica, o, se questi ultimi cercano di allontanarsene, è comunque una reazione legata alla società e alle esperienze personali e collettive che vivono. è anche vero che la fortuna editoriale di un determinato autore in traduzione è spesso motivata dalla situazione politica dell’autore stesso e dalla posizione del paese che riceve il testo (ad esempio dalla censura cui un autore è sottoposto nel suo paese d’origine). Tuttavia appiattire un testo e le riflessioni che questo può innescare al discorso politico significa negargli la sua valenza letteraria, privarlo della matrice poetica che lo anima. Credo che sia proprio il risolvere la complessità di un qualunque autore nella coerenza o incoerenza con la posizione riguardo certe questioni della cultura di ricezione il portare avanti un discorso “allineato e coperto”, se non nei confronti del pensiero dominante, nei confronti di se stessi. Mentre la letteratura a volte fa l’opposto: portar fuori da se stessi.

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