Marocco e Francia alla prova in “Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi” di Fouad Laroui

Fouad Laroui mi piace molto. È dotato di un’ironia brillante, scrive bene e ha un modo tenero e delicato di raccontare le storie dei suoi personaggi, che si muovono quasi sempre tra Europa e Marocco, alla ricerca di un delicato equilibrio tra i due mondi. Il suo ultimo libro che è stato tradotto in italiano non fa eccezione: sto parlando del romanzo Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi, pubblicato di recente da Del Vecchio Editore con la ricca e precisa traduzione dal francese di Cristina Vezzaro.

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Foto presa dalla pagina Facebook dell’editore

Adam Sijilmassi, protagonista di questo romanzo un po’ picaresco, è un ingegnere di 40 anni che lavora per l’importante Ufficio dei bitumi del Tadla di Casablanca. Viaggia moltissimo per lavoro, ha un ottimo stipendio, una casa elegante a Casablanca e una bella moglie. All’apparenza non gli manca nulla per essere soddisfatto della propria vita. Eppure, un giorno, mentre si trova a trentamila piedi d’altezza, sul mare delle Andamane di ritorno a Casablanca dall’ennesimo viaggio di lavoro in Asia, lo coglie un’improvvisa crisi che si potrebbe quasi definire quasi mistica. Su quell’aereo Lufthansa che sorvola l’oceano Indiano il pensiero gli va inspiegabilmente al ricordo del nonno e del padre, due rispettabili anziani del villaggio di Azemmour che non erano mai andati oltre il loro orizzonte, che si spostavano a dorso di muli e che avevano vissuto la loro vita placidamente. Tutto ad un tratto, ad Adam Sijilmassi, ingegnere in carriera, viene voglia di rallentare e tornare alle origini. Non fosse per quel piccolo particolare che il protagonista di questo romanzo è marocchino ma ha studiato dai francesi. Parla francese alla perfezione, ma non ricorda più il darija, il dialetto marocchino. È persino incapace di formulare una frase di senso compiuto senza che gli si affacci alla mente una miriade di micro citazioni prese dalla letteratura francese classica.

Avete presente? Voi parlate e pop, vi sembra di stare dentro un libro stampato, vi sentite i protagonisti della vostra storia, o meglio – pardon, di quella scritta da un letterato francese.

Baudelaire, Verlaine, Proust, Dumas, Hugo, Voltaire costituiscono il personalissimo pantheon culturale di Adam Sijilmassi e si infilano come dei pop-up nei pensieri:

Di nuovo, immagini, parole, frasi intere iniziarono a fronteggiarsi nella sua testa..

Lei continuava a guardarlo senza fiatare; «agli angoli della bocca quell’immobile contrazione…»; nemmeno il gatto si muoveva. [La citazione è tratta da Madame Bovarie]

Tornato a Casablanca, lascia il lavoro, e perde casa e moglie (che lo molla dopo avergli dato dello svirgolato). Va anche a vedere uno psichiatra (che gli domanda perché voglia rifiutare la cultura francese se ne è impregnato al punto che non riesca a formulare un pensiero che non rimandi all’Illuminismo francese, agli scrittori francesi), e decide di tornare proprio ad Azemmour, meno di 80km da Casablanca, placida cittadina nell’entroterra marocchino.

Dopo aver camminato tutta la giornata, ei giunse / alle rive del mare in quel paese / Che poi su Assur. Era Azemmour, la sua città natale, l’Azemorum dei Romani.

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Azemmour, foto di Google (ma la meraviglia?)

Nella casa dei suoi illustri avi, di cui Adam è l’ultimo esponente, ritrova una vecchia prozia (Nanna) e una orfanella. Ma anche un cugino assillante, un seguace fedele, due poliziotti che gli stanno alle calcagna e addio pace. Da questo soggiorno ad Azemmour escono fuori situazioni divertenti e paradossali, scandite da dialoghi ironici e assolutamente godibili che l’autore si deve essere divertito a molto a confezionare.

Ad esempio, Adam Sijilmassi si è talmente dimenticato l’arabo che non sa neanche come si indichi il bagno in darija:

– Nanna, dov’è il…?

-Cosa, figlio mio?

Si ricordò che sui bagni pubblici c’era scritta la parola mirhad. Ma era arabo letterario, lo avrebbe capito?

-Il mirhad, Nanna, Dov’è il mirhad?

Fatica sprecata. Continuava a guardarlo con stupore. Parlava, quello strano nipote – ma cosa diceva?

Per farla finita, si prese la pancia tra le mani e simulò lo spasmo di una colica violenta. Il viso dell’antenata si illuminò:

-Il canifou? È di là.

Andò al canifou. Da dove veniva quella parola? Ah sì: era una deformazione di “caniveau-cunicolo”. Probabilmente i coloni o i militari l’utilizzavano parlando agli “indigeni”, all’epoca dei francesi. […] I francesi erano andati via, lasciando il caniveau, che aveva, poco a poco, dimenticato le sue origini, si era in un certo senso arabizzato, berberizzato… I morti, i cari morti, hanno grandi dolori.

Ad Azemmour, Adam Sijilmassi si riappropria del patrimonio letterario classico islamico e mette in soffitta Voltaire, o almeno così vorrebbe. Rilegge i testi di Ibn Tufayl e Ibn Rushd, riscopre l’arabo, l’Islam e il sufismo, ma siccome per quanto se ne voglia liberare l’Illuminismo europeo gli si è infilato sotto pelle, quello che esce fuori da questa immersione nei testi classici è la formulazione di un Islam originale, filosofico, razionale, quasi agnostico. Un Islam che, suo malgrado, si scontra con due grandi totem: il Makhzen, ovvero lo Stato marocchino, e l’Islam letteralista, che vedono nell’interpretazione del povero ingegnere Sijilmassi una provocazione e un pericolo da contenere.

È così che il malcapitato protagonista diventa una specie di santone illuminato per gli abitanti del luogo e si trova a dover scegliere da che parte stare: sostenere lo Stato e l’ombrello protettivo, rassicurante ma un po’ soffocante dell’Autorità, o pendere verso i fedeli di un Islam ottuso, rigorista e un po’ anacronistico? La vita di Azemmour viene completamente sconvolta e la scelta di Sijilmassi non potrà che essere una.

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Fouad Laroui

Dopo il tenero Un anno con i francesi, Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi riprende il tema dell’incontro/scontro tra il Marocco e la Francia, che – vale la pena ricordare – impose il suo protettorato sul paese africano per circa 40 anni. In questo romanzo, la frizione tra i due universi è innanzitutto linguistica e culturale e poi filosofico-religiosa e attesta la straordinaria vastità della cultura di Fouad Laroui, che questo soggetto lo conosce molto bene, essendo anche lui marocchino francofono, nonché ingegnere prestato alla letteratura araba, materia che oggi insegna in diverse università europee.

La stessa traduttrice, Cristina Vezzaro, che firma la postfazione e soprattutto una traduzione ricca e estremamente complessa, ricorda la sorpresa nel vederlo ad una conferenza a lui dedicata in Marocco: “Quando lo vedi in Europa, dimentichi che è marocchino, tanto è inserito nel contesto culturale europeo. Qui invece i suoi due mondi sono più evidenti. Il francese che si incrocia alla darija, il dialetto arabo, gli aneddoti che diventano letteratura attraverso la sua penna, la cultura europea d’adozione che regala uno sguardo diverso su una realtà ormai lontana ma presente”.

Come molti autori che vivono tra Europa e mondo arabo, anche Fouad Laroui sembra aver trovato la sintesi perfetta per la convivenza tra questi due mondi: quello dell’incontro tra le due culture che scoprendo i punti in comune si compenetrano, arricchendosi dei rispettivi punti di forza. Non senza prima aver tribolato un po’.

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