La Siria, la letteratura e la cultura circolare

La settimana scorsa a Lecce, per lo Yalla Film Fest (che è un Festival del cinema arabo contemporaneo organizzato dall’Associazione MENA) abbiamo proiettato il documentario Un assiégé comme moi, diretto dalla regista siriana Hala Alabdalla, che ha per protagonista l’intellettuale franco-siriano Farouk Mardam-Bey.

So che Farouk non sarebbe d’accordo sull’essere definito il “protagonista” del film: durante l’incontro che è seguito al film ci ha tenuto a precisare che il film non è su di lui ma con lui. È indubbio tuttavia che sia la sua vita, personale e professionale, il cuore di questo film.

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A Lecce: da sin., Samuela Pagani, Farouk Mardam-Bey, Elisabetta Bartuli

Mardam-Bey è siriano di origine ma da circa 40 anni vive in Francia: per quasi tutto questo tempo ha vissuto nel Paese d’Oltralpe in esilio, reo di aver criticato il regime di Hafez al-Assad fin dagli esordi. Per questo motivo, non è mai più potuto tornare a Damasco, la sua Sham, che per lui è la quintessenza della patria, della casa. Nondimeno alla sua arabicità, alla cultura araba e alla sua Siria ha dedicato tutta la vita: prima membro della Rivista di Studi palestinesi, poi dell’Institute du Monde Arabe e poi alle edizioni Sindbad della casa editrice Actes Sud, il ruolo di Mardam-Bey come divulgatore della cultura araba in Francia e in Europa è stato fondamentale. E lo è ancora di più in questi giorni dove, anche in Francia (me lo ha detto a pranzo), la cultura arabo-islamica viene vista con diffidenza mista a paura.

È alla sua intelligenza, raffinatezza di gusti e lungimiranza se sono stati tradotti in francese i più importanti autori arabi classici e contemporanei, tra cui il poeta palestinese Mahmud Darwish, gli scrittori libanesi Elias Khury e Jabbour Douaihy per citarne solo alcuni tra i moltissimi (per rendervi conto dei numeri basta guardare il catalogo di Sindbad qui). E il suo lavoro di divulgazione ha pagato. Durante l’incontro ci ha raccontato che le poesie di Mahmud Darwish in traduzione francese, ogni volta che vengono ristampata, o ne esce una nuova edizione, vendono dalle 5mila alle 7mila copie, più dei massimi poeti di Francia. Nonostante anche in Francia la poesie non sia letta molto e nonostante anche in Francia vi sia stato un calo delle vendite e un calo della pubblicazioni di autori in traduzione (pare che, in terra francese ultimamente vengano pubblicati più libri di autori francofoni che stranieri, pare).

Nel documentario poi c’è molto altro. La sua passione per la poesia, il suo essere membro del “Club della tenerezza” insieme ad altri intellettuali arabi (ne faceva parte anche Darwish), il suo essere gourmant – il filo conduttore del film è una cena organizzata nella sua casa parigina in cui è lui a cucinare per gli ospiti – le iniziative pubbliche come i dibattiti di Souria Houria, per parlare dell’attualità siriana a sostegno della rivoluzione siriana, in cui vengono invitati giornalisti e scrittori siriani oppositori della dittatura di Assad, che portano testimonianza degli orrori del regime degli Assad ma anche, e soprattutto, della straordinaria vitalità della rivoluzione e della società civile siriana.

Io sono venuta a conoscenza di questo documentario l’anno scorso, perchè Elisabetta Bartuli lo ha portato al Festival della letteratura di Mantova, dove era stato invitato anche Farouk Mardam-Bey. Mi sono fidata della sua scelta, come ormai faccio da diversi anni (!) e l’ho proposto alle ragazze dello Yalla Film Fest, che si sono fidate a loro volta di me e abbiamo deciso di proiettarlo a Lecce. La cultura è sempre circolare.

E visto che a me piace farla circolare, oltre al documentario vi segnalo anche due libri che hanno a che fare con la rivoluzione siriana che credo sia il caso di leggere:

Gli angeli dei libri di Daraya, di Delphine Minoui (La nave di Teseo, trad. di V. Vega), appena uscito in libreria, racconta la storia di un gruppo di giovani rivoluzionari siriani che salvarono i libri della città di Daraya portandoli sottoterra e creando una biblioteca sotterranea, segreta.

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Quelli che hanno paura, di Dima Wannous (Baldini & Castoldi, trad. di E. Bartuli e C. Dozio), che uscirà tra qualche settimana. Nel frattempo l’edizione originale in arabo è entrata nella rosa dei finalisti al Premio internazionale per la letteratura araba (IPAF). Di seguito trovate la sinossi:

9788893880633“Damasco. Suleyma e Nessim si incontrano nella sala d’aspetto dello psicologo Camille, e si innamorano. Quando nel 2011 le loro strade si dividono, Suleyma rimane a Damasco con la madre, in attesa di avere notizie del fratello, Fu’ad, fatto sparire dal regime. Nessim, medico e scrittore, emigra, insieme al padre paralizzato e demente, in Germania: madre e sorella sono morte sotto i bombardamenti di Homs. Separati dalla polvere della violenza e dal rumore del mondo, Suleyma e Nessim continuano a sentirsi, legati dal proverbiale filo di un telefono. Suleyma riceve le bozze del nuovo romanzo di Nessim e un dato è assolutamente trasparente: la sua protagonista le somiglia in maniera impressionante – ha trent’anni, è stata o forse è ancora paziente di Camille e, soprattutto, è dominata da una forma di paura strisciante, che la induce a trasferirsi a Beirut. Suleyma, che ha le chiavi dell’appartamento di Nessim, fa alcune sconcertanti scoperte. Prima trova il necrologio che il compagno aveva scritto per lei e altri suoi cari, anche se erano ancora tutti vivi; poi trova le fotografie di altre donne. Come può continuare ad amare Nessim? Non lo ha forse solo idealizzato? Suleyma va più in là e riesce a identificare, complice la segretaria di Camille, la possibile protagonista del manoscritto: si chiama Salma e vive a Beirut. Decide di andare a trovarla quasi fosse un incontro con se stessa: e infatti, all’appuntamento, ritrova in lei la sua stessa ansia, la sua stessa paura. A quel punto potrebbe fuggire, e invece decide di tornare a Damasco dalla madre. Si riconsegna, così, consapevolmente, alla paura che è anche la paura di tutta la sua generazione e, di fatto, le appartiene e la tiene viva”.

 

 

 

 

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