In memoria del poeta Muzaffar al-Nawwab

Su Orient XXI, Fatima Sai (traduttrice e docente di Lingua e letteratura araba) ha scritto un bellissimo pezzo in onore del poeta iracheno Muzaffar al-Nawwab, scomparso il 19 maggio all’età di 88 anni.

La morte di Muzaffar al-Nawwab lo scorso 19 maggio 2022 è un evento che ha toccato milioni di arabi ovunque nel mondo. È uno di quegli eventi che ti ricordano chi sei, e dove sei nel mondo. Un evento che ha visto chi si trova lontano cercare gli amici, telefonarsi come fosse morto un parente, ripetendo amaramente i suoi versi come unica consolazione. Il suo funerale, celebrato a Baghdad il 20 di maggio, come tutta la sua vita e la sua scrittura, ha mostrato ancora una volta al mondo l’opposizione irreparabile fra popolo e regime nel contesto arabo. Si è spento a 88 anni dopo una lunga malattia nell’emirato di al-Shariqa, ed è tornato in Iraq dopo oltre 50 anni di esilio, con un aereo di stato, ricevuto all’aeroporto dalle più alte cariche dello Stato con grande pomposità. Il feretro è stato poi portato in corteo nel centro della città, per una tappa davanti alla sede dell’Unione degli Scrittori Arabi.

In strada aspettavano già dall’alba migliaia di persone. Gente comune di ogni età, moltissimi i giovani, tantissime anche le donne, che tradizionalmente non partecipano ai funerali. Arriva anche il primo ministro al-Kadhimi. Ma la folla non gradisce la sua presenza, comincia a urlare “No ai collaborazionisti”. La tensione si fa sempre più alta finché viene scortato via in mezzo ai cori di rabbia: “Muzaffar è del popolo, non dei ladri! Muzaffar è del popolo, non dei ladri!”. La folla lancia pietre, scarpe al convoglio di macchine blindate. Si riappropriano dell’ultimo saluto al poeta tanto amato la cui presenza era stata così a lungo negata.1

L’esilio, la censura, la scelta dell’oralità

Muzaffar al-Nawwab, nato nel 1934 a Baghdad, comincia a scrivere molto giovane e pubblica presto due antologie. Nel 1963 viene incarcerato per la sua affiliazione al partito comunista che nel frattempo era stato messo al bando. In carcere scriverà uno dei suoi testi ancora oggi più noti, L’innocenza, in cui racconta della terribile condizione dei detenuti politici che venivano rimessi in libertà senza un motivo apparente, per far credere a chi stava dentro e fuori dal carcere che avessero confessato. La loro vita quindi era distrutta, insieme a ogni forma di solidarietà della comunità, con una pratica che aveva il deliberato intento di frantumare la coesione dell’opposizione politica. Oltre che per l’inedito attacco al regime, questo testo è importante per il modo in cui dal carcere esce e si diffonde. Perché si diffonde sulle bocche dei compagni di detenzione di al-Nawwab, che l’avevano imparato a memoria e una volta fuori l’hanno ripetuto in una catena che da allora non si è più interrotta.

Questa strategia di aggiramento del controllo e della censura, dunque, porterà al-Nawwab ad una scelta di vita e di pratica poetica radicale: deciderà di non pubblicare quasi più per iscritto. Se la carta stampata può essere fermata e costituire anche motivo di condanna a morte, allora la poesia può ripartire dal suo grado zero. Sparisce il corpo del reato e resta il corpo. Il suo corpo, la sua viva voce, diventano la frontiera della resistenza poetica e politica, recuperando e rielaborando l’antichissima tradizione orale araba.

Le vicende biografiche di al-Nawwab si intrecciano con quelle tormentate dell’Iraq negli anni che hanno seguito la nascita della repubblica, fino alle alterne fasi che l’hanno visto condannato alla clandestinità e infine all’esilio, una peregrinazione che descrivere così nella sua poesia In una vecchia taverna:

(continua su Orient XXI)

Anche Arablit ha uno speciale su al-Nawwab, che potete leggere qui.

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