Mancano 27 giorni (circa) all’annuncio del prossimo Premio Nobel per la Letteratura e i blog letterari sono in fibrillazione (qui, qui ma anche #totoNobel su Twitter).
Editoriaraba poteva fare eccezione? Naturalmente no. Se non che c’è ben poco da stare in fibrillazione almeno per quanto riguarda la letteratura araba visto che i nomi favoriti, stando a Ladbrokes, sito riportato anche da Marcia L. Qualey sul suo blog, sono pochi e soprattutto ricorrono da anni, il che fa pensare che siano stati messi lì per pro forma più che per una reale chance di vittoria.
I primi in lizza sarebbero: la scrittrice algerina Assia Djebar e il poeta siriano Adonis, entrambi con “punteggio” 14/1 (non ci capisco nulla di scommesse quindi perdonatemi se non utilizzo un linguaggio appropriato). Seguono: lo scrittore libanese Elias Khouri e il poeta palestinese Ghassan Zaqtan, entrambi con minori possibilità, mi pare di capire, perchè sono dati per ora 100/1.
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Ora, visto che neanche l’Accademia svedese pare prestare molta attenzione alla letteratura araba (vittimismo arabista), che dal 1901 a oggi ha riportato solo un laureato al Nobel, lo scrittore egiziano Nagib Mahfuz, direi che possiamo provare insieme a comporre una rosa di nomi di autori arabi che vorremmo ricevessero il Premio. Non serve a nulla da un punto di vista concreto, ma magari è catartico.
Potremmo procedere così: ognuno nei commenti scrive due nomi:
a) chi vorresti vincesse il Premio Nobel quest’anno (e perchè)
b) chi avresti voluto vincesse il Premio Nobel in passato (e perchè) – così diamo possibilità anche a chi ormai non c’è più
Comincio io?
a) Elias Khouri: perchè ritengo sia il più importante scrittore libanese contemporaneo. E perchè quando ha raccontato nei suoi libri della guerra civile libanese, o del popolo palestinese, lo ha sempre fatto con parole non scontate, non mai ha banalizzato l’orrore e le sofferenze umane. Inoltre non ha mai fatto mancare la sua voce quando si è trattato di denunciare i crimini di Assad e di alleviare la solitudine del popolo siriano.
b) Mahmoud Darwish: non so se ci sia davvero bisogno di commentare, ma comunque. Non sono una grande lettrice di poesie, ma quando inizio una poesia scritta da Darwish, mi è impossibile staccare gli occhi, e il cuore, dalla pagina.
(e non mi venite a dire che è difficile fare due nomi soli perchè lo so bene, oh se lo so)
Dicevano che il nobel a Mahfuz era per onorare Tawfiq al-Hakim che era morto l’anno prima… sempre nella logica dei doppi nomi :)
Comunque sono con te per la coppia Khuri-Darwish!
Se devo fare due nomi extra, il primo che mi viene in mente senza esitazioni è Rabee Jaber. Già un po’ lui col nobel ci gioca se con “Beirut città del mondo” ha scritto una sorta di risposta beirutina alla Trilogia del Cairo di Mahfuz, e poi mi piace il respiro “epico” che infonde nelle storie di persone semplici.
Per il secondo sono più indeciso. A ruotalibera mi viene in mente Ghada Samman. Ci risiamo con la trilogia (Beirut ’75 – Incubi di Beirut – La notte del miliardario)… e sempre in area libanese, perdonatemi!
sono d’accordissimo con il nome di khouri, il valore letterario dei suoi romanzi è indiscutibile (la prima cosa che mi viene in mente? l’incipit di “facce bianche”); i testi sono a volte impegnativi, ma credo che si possa parlare di letteratura e non solo di piacevole narrativa. Per il nome del passato, ho in mente tayyeb salih, che vedo proprio qui accanto. “la stagione della migrazione a nord” può risultare “disturbante” perchè obbliga a fare i conti con la nostra coscienza di occidentali (che brutta parola), ma è una violenza semantica e linguistica necessaria, catartica. ma, infatti… perchè solo due?? :D
Salih era la mia seconda scelta infatti!
ps – perchè sono una blogger sadica! ;)
e noi con te, oltre che masochisti… la scelta obbliga a dolorose esclusioni! mi sarebbe piaciuto indicare un poeta, ma ammetto di avere i miei limiti sulle opere in versi, che non riesco a leggere ma solo a seguire in (rare) performance ad alta voce e dal vivo. chissà se migliorerò mai!
Me too on Elias Khoury. :-)
And for the past… I still go with Tawfiq al-Hakim.
Khouri is winning! (at least for us readers, don’t know what will happen in Stockholm!)
Ali Ahmad Sa’id Isbir alias ADONIS grande poeta e grande intellettuale, un innovatore le cui opere sono patrimonio non soltanto del mondo arabo…e perché c’è un gran bisogno di Poeti
dimenticavo… per il passato avrei voluto lo vincesse Mahmoud Darwish, non credo ci sia bisogno di spiegare il perché…sono certa che chiunque legga una sua poesia in qualunque parte del mondo abbia un moto nell’anima
Dopo lunghe riflessioni :) , sparo le mie due cartucce: per il passato, Ghassan Kanafani (sebbene la sua produzione non sia abbondantissima e roboante, “Ritorno a Haifa” vale già da solo mille premi Nobel); per il presente, Sun3allah Ibrahim (“Warda” io lo metto in testa ai libri migliori di sempre). E intanto inizio a colmare la mia grande lacuna (fra le altre) che risponde al nome di Elias Khouri… :)
Per quanto riguarda Kanafani, ti segnalo questa casa editrice palestinese che ha ri-pubblicato di recente tutte le sue opere (non è poco per uno che è morto a 36 anni ;) ) https://www.rimalbooks.com/productinfo.php?id=292
Quanto a Khuri…stai ancora lì o sei già corsa in libreria?! :-)
Sì, ho visto sulla pagina FB di Editoriaraba che Rimal ha ripubblicato tutto Kanafani (ti tampino! :D ). Non è poco, ma -come si suol dire in questi casi- se fosse vissuto più a lungo chissà cosa ci avrebbe lasciato… Khouri… è lui che sta correndo da me a mezzo corriere! ;)
Bella proposta. Chissà Kanafani cosa avrebbe scritto se avesse vissuto più a lungo… E hai tutto il mio appoggio su “Warda”, anche per me è resta un libro super :) Per Khuri, io ti consiglio di iniziare con Yalo o Facce bianche. Yalo a me è quello che è piaciuto di più forse… ma io sono un fan-fanatico di Khuri ti direi di leggere tutto!
Ok è il momento di fare outing: Io Yalo non sono riuscita a finirlo! Era troppo duro, scabroso, crudo. Il protagonista mi ha dava fastidio fisico, a pelle, l’ho odiato in alcuni punti, mi faceva senso.
Non è un libro facile da digerire vero.
Mi sono munita di Facce bianche e La porta del sole, e sono in attesa del piccolo Gandhi, che è ancora in viaggio! ;)
brava Fernanda, aspetto aggiornamenti!!
E’ difficile scegliere solo due nomi. Sì, confermo anch’io il nome di Mahmud Darwish, non solo per ciò che ha rappresntanto per la cultura palestinese, ma per la grandezza assoluta della sua poesia. L’altro nome è quello di ‘Abd Al-Rahman Munif, il suo romanzo Gli alberi e l’assassinio di Marzuq (edizioni Ilisso) è un autentico capolavoro; se non l’avete ancora letto fatelo! Grazie per l’opportunità.
Marco
Grazie Marco e tra i contemporanei (alias, ancora in vita) chi sceglieresti invece?
Così, immediatamente mi verrebbe da dire Rachid Boudjedra quello de Il ripudio, de La pioggia e ancora di Topografia ideale per un’aggressione caratterizzata, ma so che spesso scrive in francese. Così suggerirei, senza davvero poter sostenerlo, l’ultimo che ho letto: Mohammad Hossen Mohammadi (un Afghano che vive in Iran), I fichi rossi di Mazar-e Sharif. Una raccolta di racconti che fermano l’Afghanistan in guerra: senza eroi, senza retorica, nitidamente tra dolore e allucinazioni!
ciaociao
marco
Boujedra piace molto anche a me invece l’altro che hai citato…non è arabo, quindi non rientra nel nostro raggio d’azione :)
nazih abu afash, poeta siriano che adoro, una sua poesia MOLTO attuale:
fuggendo di la.
In sogno…
L’uomo incaricato a esaminare gli incartamenti dei rifugiati mi chiese:
– Perché sei venuto straniero?
– Per fuggire di là …
Da paesi impazziti dove non c’è più niente verso cui rivolgermi a pregare
salvo le tombe e gli idoli…
e gli archi di trionfo ricoperti da un sudario di polvere
e di imposizioni
e cadaveri di fiori impiccati nei matrimoni dei barbari!…
Di là …
Dove la gente sotterra la propria infanzia nelle lacrime
la gioventù nelle delusioni
la vecchiaia nella pazzia dei pazzi
la morte … in qualcosa a cui non sanno dar altro nome
che “morte”.
– E cosa vuoi fare qua
buon uomo?
– Continuare la mia vita in silenzio
(in silenzio come ho sempre fatto quand’ero là)
Osserverò le nuvole
libererò il mio spirito sotto le ali d’un piccione delle piazze…
E invidierò la libertà del cane.
Camminerò, come l’orfano, ai margini delle dimostrazioni studentesche
e dello sventolar delle bandiere bianche
il cui unico scopo è quello di dire:
“La libertà … è più preziosa della patria
e la giustizia … è più santa del Regno di Dio”.
Sorriderò alle donne sui marciapiedi
e accarezzerò le vecchine tristi sulle panchine dei giardinetti.
E quando soffierà in me la solitudine dell’orfanismo
Entrerò furtivo nelle stazioni del metro
suonerò il mio `ud e canterò
da far tremar le pareti …
e cigolar i sedili …
L’aria piangerà
e l’umanità felice frenerà a stento il proprio gemito e sospirerà:
“Da qual paese di sofferenza
soffia questo canto sanguinante?!”
Perfino quando sarò sazio d’erranza, di canto e lacrime
tornerò a casa mia, nei sobborghi
curerò la mia malinconia fischiettando
e cullerò lo squallore del mio animo coi sogni,
conterò i miei piccoli passi, da un angolo all’altro,
come colui che misura la distanza fra le viti e l’aia
poi … da un angolo all’altro:
fra le colline e le fonti! …
E per consolare il mio spirito nelle desolate domeniche d’autunno
pianto i bulbi di narciso e ciclamino… sul davanzale della mia finestra
per illudermi che io continuo – come nelle primavere del passato –
ad affacciarmi sui campi del mio paese piangente…
e sui suoi monti malati…
e alla sua atmosfera sottomessa e imbalsamata.
E quando gli incubi mi assaliranno
uscirò alla luce della terra, (perché qui si esce nelle tenebre)
vagherò per le strade come i turisti squattrinati:
il bavero della giacca sollevato
il cuore in pianto
le mani in tasca…
e sulla mia bocca
gocce di pioggia pulita
come le lacrime degli orfani.
Mi soffermerò alla porta di Dio come il mendicante… e balbetterò:
“O Signore… fammi tornare nell’utero di mia madre
per riscaldarmi nel buio delle sue viscere
e succhiarmi il pollice sotto i battiti del suo cuore generoso d’asceta.
Fammi tornare… all’acqua della sua santa tenerezza
dove la placenta è più luminosa del mare
e la serenità più eloquente della musica;
O Signore… riportami all’utero”.
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Per questo son venuto, signore
per via dei sogni son venuto
per la felicità del cuore che fa piangere lo straniero
per questo son venuto
fin qui, dove è possibile all’uomo – senza vergogna – inginocchiarsi alla debolezza
e adorar la bellezza
inebriandosi del profumo della tenerezza dell’uomo.
Son venuto… per mondare la mia miseria col pianto
e rattoppare gli strappi della mia vita coi sogni.
Son venuto a continuare la mia vita in silenzio
appoggiandomi coi gomiti sul tavolino in un angolo del caffè
a scriver lettere e poesie… e lottar contro il rimpianto
maledicendo i tiranni
l’inquietudine
e le insidie della vita
bramando un paese feroce
in cui non mi auguro… neanche di morire.
Damasco 1998
Poema ancora inedito