La letteratura araba in discussione: “L’arco e la farfalla” di Mohammed al-Achaari

Larco-e-la-farfallaLa presenza, al Salone del Libro di Torino, di Mohammed al-Achaari, venuto per presentare il suo romanzo L’arco e la farfalla (traduzione dall’arabo di P. Viviani, a cura di I. Camera D’Afflitto; Fazi Editore, 2012), mi dà modo oggi di provare un piccolo esperimento: presentare il libro a chi non l’ha letto con l’ausilio di Internet, blog e Youtube inclusi (l’esperimento serve anche a me, che sto leggendo il libro!).

Ma prima, una doverosa introduzione all’autore:

Mohammed al-Achaari (1951) è un poeta, scrittore e politico marocchino. Laureatosi in Legge nel 1976, due anni dopo pubblica la sua prima raccolta di poesie. Negli anni Ottanta viene incarcerato per il suo attivismo politico. Dal 2002 al 2007 ricopre il ruolo di Ministro della Cultura. Con L’arco e la farfalla arriva finalista, nel 2011, al premio per la narrativa in lingua araba, che vince in ex aequo con la scrittrice saudita Rajaa Alem.

Di seguito dunque trovate: una recensione critica scritta su Editoriaraba da Giacomo, che si interroga sul valore di un libro in cui emergono molti stereotipi e si sofferma sul modo in cui il romanzo è stato presentato al pubblico italiano (a metà tra primavera araba e terrorismo); e un’analisi più recente e molto approfondita di Rabii sul blog di ALMA, che contestualizza il libro all’interno del percorso professionale e personale di Al-Achaari e sostiene tra le altre cose, che L’arco e la farfalla, essendo il prosieguo di Janub al-Ruh, scritto dall’autore 15 anni prima, possa essere compreso al meglio leggendo il primo.

L’arco e la farfalla” di M. al-Achaari: attualità e stereotipi (G. Longhi, novembre 2012)

L’arco e la farfalla” o l’individuale e il collettivo nell’esperienza di M. al-Achaari (R. El Gamrani, maggio 2013)

Che ne pensate?

Io personalmente trovo molto irritanti le fascette promozionali che avvolgono il libro come un pacchetto regalo e le frasette scritte sul retro di copertina, che ammiccano vogliose ai lettori dagli scaffali delle librerie. Molto spesso sono dannose semplificazioni del testo, che poco o nulla hanno a che vedere con il contenuto. Nel caso in questione, la scritta riportata nel retro, come ci ricorda Giacomo, “strillava” al lettore che il romanzo tratta della primavera araba e del terrorismo, due temi “caldi” già di per sé che, associati ad un romanzo arabo nuovo di zecca, lo rendono un prodotto esplosivo. Non posso non notare che l’accostamento verso il primo dei due termini soffre di un vistoso sbalzo temporale: il libro infatti è stato pubblicato in Libano nel 2010, qualche mese prima dello scoppio delle rivolte in Tunisia ed Egitto. Accostarlo alla primavera araba è secondo me un atto di scorrettezza verso il libro che, mi immagino, risponde alle logiche di marketing a cui non sfuggono le case editrici, grandi e piccole.

Quanto alla questione sollevata da Rabii nel suo intervento, riprendo qui un argomento discusso durante il Salone di Torino da qualcuno più in gamba e competente di me: se un libro è valido, non dovrebbe essere in grado di stare in piedi, da solo e comunque?

Comunque la pensiate, credo che entrambe le opinioni possano darvi un’idea del libro piuttosto precisa, se ancora non lo avete letto.

Avviso ai lettori che non hanno ancora letto il libro: fermatevi qui!

Se invece lo avete letto, potete andare oltre e guardare i video (qui di seguito) della presentazione organizzata all’interno di Lingua Madre durante il Salone torinese.

Consiglio la visione solo a chi ha già letto il libro per un semplicissimo motivo: il moderatore, nella sua lunghissima introduzione, si “scorda” di spiegare il libro al pubblico, e così facendo il suo diventa un intervento mutilato e di difficile comprensione per il lettore medio.

Non discuto dei contenuti espressi da Allam, ma mi permetto di fare una piccola annotazione di natura stilistica: se i contenuti non si sanno veicolare in un modo che sia efficace ed effettivo, il parlare si svuota di senso e diventa autoreferenziale.

Proprio tutto ciò che la letteratura, e la cultura in generale, dovrebbero evitare di fare.

***

Siamo sì o no i perdenti della Storia?”

La soluzione è accettare la complessità della vita”

7 commenti

  1. Dalla mia recensione credo che si evince che il rapporto fra “L’arco e la farfalla” e “Janub Al Ruh” oltre ad essere un rapporto di affiliazione in quanto in entrambi i libri si tratta sempre dei membri della stessa famiglia, c’è proprio una relazione di stile che Al Achaari trascina dal primo romanzo verso il secondo. Ciò che a mio avviso crea una sorta di “rottura” fra alcuni capitoli del romanzo è quel viaggio fra un campo semantico, simbolico ed interpretativo che non appartiene a quella struttura predominante sulla quale Al Achaari ha costruito la sua scrittura. Forse inconsapevolmente Al Achaari è caduto in questo tranello. Alla domanda se in libro che fa parte di una serie deve “sapere stare in piedi da solo”, penso che tutto dipenda dal progetto di scrittura di ogni singolo autore: mi viene in mente uno scrittore romeno che stimo molto Mircea Cartarescu è la sua trilogia “Orbitor” e qui sicuro non possiamo capire il secondo e il terzo senza leggere il primo, nonostante le storie possono anche essere lette separatamente, ma se si vuole capire seriamente, non solo il senso delle frase e la storia, ma anche le idee che ci sono a monte, vanno letti tutti i tre. La stessa cosa credo per il quartetto di Alessandria di Durrell o I rougons macquart di Zola o “Città di sale” di Munif.
    Chiaramente non voglio fare nessun tipo di paragone fra gli autori citati e Al Achaari, ma personalmente non mi scandalizzo se un romanzo e collegato ad un altro se l’idea dell’autore è quella di seguire un percorso narrativo che indaga le evoluzioni di un fenomeno o una storia attraverso varie periodi storici.
    Parlando con il Achaari ho avuto l’impressione che non ha piacere di ricordare i rapporti che ci sono fra i due romanzi, come se si fosse reso conto che il primo costituisce un peso sul secondo, ma a mio avviso è un errore perché solo creando maggiore collegamento fra i due romanzi si riesce a capire molte cose o almeno credo.
    Non ho nessuna intenzione di erigimi avvocato di Al Achaari che non mi piace d’altronde né come scrittore, né come politico, credo tuttavia che qualcuno di buono nel romanzo c’è, ma forse non vale il suo prezzo in italiano (soprattutto per chi già l’aveva letto come me in arabo, e sono stato “costretto” a ricomprarlo anche in italiano per colpa dell’autrice dell’articolo :D)
    Sull’editoria non penso che l’autore ha colpe, spesso le traduzioni vengono fatte senza chiedere alcunché parere agli autori, spesso gli autori scoprono di essere tradotte in una lingua senza saperlo e senza avere nemmeno una copia del libro tradotto. E chissà se l’arco e la farfalla non avesse vinto l’arabic booker si sarebbe stato tradotte. E Non capisco perché AL Achaari nella presentazione parla in francese? Gli autori arabi devono parlare in arabo: 1 per dare il giusto valore alla lingua araba come lingua internazionale. 2- gli interpreti e traduttori arabi devono lavorare.
    A proposito qualche notizia dell’altro romanzo vincente di Rajaa Alem?

    • Sono d’accordo con te nel dire che l’autore non ha colpe, ci mancherebbe, non mi era passato proprio di mente! Le “colpe” io le attribuisco ad una visione un pò cieca, forse costretta?, delle case editrici che, seppur fanno cultura, devono pur sempre vendere i libri.
      Anche io mi sono chiesta perchè Al Achaari non abbia parlato in arabo e sia stato costretto a dover parlare in francese. L’arabo non è solo piacevole da ascoltare come lingua (la trovo molto musicale), ma è anche e soprattutto una lingua viva, parlata, che sarebbe bello che tutti potessero ascoltare!
      Però, qui andiamo su un altro piano: esistono interpreti arabo-italiano-arabo (italofoni e arabofoni)? Io ne conosco pochissimi! E ancora: esistono scuole/enti in Italia che danno questo tipo di formazione agli studenti italiani?

  2. Rabii, Chiara ha centrato il discorso: lo stato dell’arte per l’interpretariato arabo-italiano è ancora insufficiente e se un autore arabo padroneggia bene una lingua europea come inglese o francese è più facile ed efficace farlo parlare in quella piuttosto che in arabo. A me è capitato solo una volta di assistere a una conferenza in cui la traduzione consecuitiva arabo-italiano fosse riuscita, ed è un peccato quando un autore, in arabo, dice cose intelligentissime che però nella traduzione non passano.
    Secondo me si può rimediare facendo leggere agli autori dei brani del libro che presentano in lingua originale.

  3. Forse quello che dite è vero! Ma per quel che mi riguarda ogni volta che sono stato chiamato a farlo sono stato ringraziato prima di colui a chi facevo da interprete. :)

    • Allora se ci capita di organizzare un incontro ti chiamiamo! Pensavo invece al trattamento che ricevono gli autori arabi dall’editoria nostrana. Sulla scelta dei libri da tradurre in generale ormai ci pensano gli editor delle varie case editrici, spesso aiutati da consulenti specialisti, e l’autore viene avvisato e pagato come si conviene. Anche se è vero che ci sono ancora casi, alcuni che conosco tramite i diretti interessati altri su cui ho sentito varie voci, di autori a cui non sono stati pagati diritti, traduzioni non autorizzate o traduttori non pagati…

      • sì, il fatto poi di non pagare i traduttori pare sia una politica generale di certe case editrici, in quel caso non discriminano in base alla lingua, non pagano tutti!

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.