La prima parte (domani la seconda) di un profilo appassionato e puntuale dell’opera di Abd al-Rahman Munif, uno dei principali esponenti della letteratura araba contemporanea, uno scrittore unico nel suo genere, impegnato, innovatore e che ha racchiuso in sé tutti i significati del termine “arabo”. [Ch. Com.]
di Rabii El Gamrani
Quinto inizio
Per scrivere una buona recensione occorre prendere “distanza” dall’oggetto di cui si vuole parlare. Confesso: io questa distanza non la posso prendere quando si tratta di ‘Abd al-Rahman Munif.
Al diavolo la presunzione di voler scrivere una buona recensione! Apro il cuore e di getto racconto quest’autore che amo profondamente. A dir la verità “di getto” non è la parola giusta, perché quello che state leggendo, posizionandosi nella prospettiva dell’autobiografia del testo, non è quello che inizialmente ho scritto. La mia recensione non nasce come arriva a voi. Ho scritto e cancellato, poi riscritto e cancellato, e questo è il quinto tentativo. Non mi capita mai di essere così incerto su quello che voglio far arrivare al lettore, ma con Munif mi prende l’ansia da prestazione!
Sesto inizio
Ci sono autori e poeti di cui non è facile parlare se non in termini enciclopedici, ‘Abd al- Rahman Munif fa parte di questa categoria. Il suo apporto nell’arricchire la letteratura e il dibattito culturale nel mondo arabo è stato talmente importante che si fatica a contenerlo nello spazio di un articolo.
Munif pone delle problematiche al suo recensore persino per quel che riguarda la sua biografia, di fatto non lo possiamo presentare come uno scrittore saudita. L’autore della monumentale Città di sale era un apolide, l’Arabia Saudita lo ha estromesso dalla sua cittadinanza nel 1964. I suoi romanzi e le sue posizioni politiche disturbavano tutti i regimi arabi perciò fu costretto ad una continua sospensione fra le geografie.
Lui stesso non si considerava cittadino di nessun paese, ma amava definirsi Arabo, ed è in questa prospettiva del panarabismo che bisogna leggere la sua militanza nel partito Baath iracheno, lo stesso partito che lo consegnò alle lugubri celle della prigione. Munif non ebbe pace nemmeno da morto, nel 2008 la sua tomba fu vandalizzata da ignoti. Lo immagino mentre forma dei cerchietti di fumo con la pipa che era solito fumare, fulminare questi profanatori con lo sguardo ed imprecare su di loro mandandoli in fuga.
I protagonisti di Munif si comportano così, sono irascibili, dissacratori, atei, sovente blasfemi, si ribellano alle ingiustizie, lottano fino alla fine, fino alla follia o alla morte, sono quasi sempre dei falliti, ma dei falliti che lasciano una traccia, un segno. Anche Munif, dall’alto della sua formazione economica in un campo sul quale si fonda la ricchezza di tutti i paesi del Golfo aveva delle idee su come andava gestito il petrolio per sfruttarlo in una chiave di sviluppo sociale che sollevasse le sorti del mondo arabo e in un certo qual modo anche lui ha fallito politicamente, ma a guadagnarci è stata la letteratura.
L’approdo di Munif alla scrittura avviene assai tardi quando l’uomo ha già maturato una lunga esperienza/frustrazione nel campo politico ed economico, attività che abbandona per dedicarsi alla scrittura.
Prima di inoltrarci nel suo verbo, facciamo un accenno di rituale alla sua biografia: nato ad Amman nel 1933 da padre saudita e madre irachena, Munif ha studiato giurisprudenza a Baghdad ed ha ottenuto a Belgrado un dottorato in economia petrolifera. Ha vissuto a Baghdad, a Beirut, al Cairo e a Parigi prima di stabilirsi definitivamente a Damasco dove morì nel 2004. Fu un giorno tristissimo per me!
Il suo primo romanzo apparve infatti nel 1973, e il mondo arabo scoprì un grande scrittore, un innovatore della narrativa araba nel contenuto e nella forma.
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