Perchè si traduce la letteratura araba? Una provocazione (di nuovo)

Arabisti e traduttori letterari attenti. Potreste forse tra poco ritrovarvi senza lavoro. A meno che le case editrici non cambino la loro politica.

In poche parole, è questo il pensiero dello scrittore e critico letterario egiziano Ibrahim Farghali, il quale in questo articolo pubblicato sul suo blog dal titolo           هل من ضرورة لترجمة الأدب العربي؟ هل هناك أهمية لترجمة الأدب العربي إلى لغات أجنبية حقا؟ , e poi tradotto in inglese su The National (la traduzione del titolo lascia parecchio perplessi…), lancia una bella provocazione agli editori europei (spero non a noi lettori!).

L’intellettuale si chiede due cose, la prima: è davvero necessario ed importante che la letteratura araba venga tradotta nelle lingue straniere (*europee: inglese-francese-tedesco)? E continua: qual è il valore di queste traduzioni? Aiutano davvero a diffondere i valori e la natura della letteratura araba tra i lettori di altre lingue?

La risposta è tranchant: un secco NO ad entrambe le domande.

Farghali è infatti convinto che queste traduzioni abbiano tradito due volte la letteratura: non hanno saputo veicolare correttamente la vera natura della variegata produzione letteraria in lingua araba, né sono state in grado di acquisire un nuovo pubblico al di fuori di quello arabofono.

di Ibrahim Farghali, traduzione in inglese pubblicata da AUC Press, 2007

[Da dove Farghali abbia preso i dati per sostenere le sue tesi, non ne ho idea. Tra l’altro lo stesso ammette di essere in qualche modo parte in causa della questione, dal momento che un suo romanzo è in effetti stato tradotto in inglese, cfr a lato].

Secondo Farghali il libro arabo è stato doppiamente tradito: in patria, dove l’immagine, la forma (commerciale, estetica) prevale sulla sostanza, e nel mondo occidentale, dove è vittima, ancora e per sempre, dello sguardo orientalista del lettore europeo, grazie al pessimo lavoro della “classe editoriale europea” che rinfocola sempre gli stessi stereotipi sul mondo arabo tramite le pagine dei libri che traduce.

In conclusione Farghali ammette che il lavoro dei consulenti editoriali europei, nello scegliere il prossimo romanzo arabo da tradurre, non è dei più facili e per questo dà loro un consiglio: nella selezione dell’opera, è il valore letterario di quest’ultima il primo, se non unico, criterio di discernimento.

Al momento, commenta con amarezza lo scrittore, il processo di selezione si basa solo su considerazioni di tipo sociale e politico.

***

E a questo proposito, cfr. a titolo di esempio tutti i romanzi/saggi usciti nel post-primavera araba e tradotti nelle lingue europee. Le traduzioni vanno dove..vogliono i lettori o dove spinge il mercato?

(E nessuno mi venga a dire che noi lettori non abbiamo gusto, perchè questo è un argomento che non sosterrò mai).

3 commenti

  1. Sono d’accordo col succo del discorso, che la letteratura araba ha il sacrosanto diritto di vedersi trattare come qualsiasi altra letteratura, cioè va cercata e promossa nelle sue forme migliori.
    Basterebbe fare una lista delle “sole” uscite di quest’anno per rendersi conto di ancora quanti libri mediocri vengono tradotti, di quanti altri, magari buoni, escono con case editrici troppo piccole e la loro esistenza è praticamente inesistente. O quante traduzioni che non fanno onore all’originale, piatte se non sgrammaticate.
    I numeri non fanno tutto. Quest’anno sarà anche aumentato il numero dei libri tradotti, ma la qualità?
    La colpa però non si può dare tutta agli editori, il fenomeno delle pubblicazioni mediocri non mi sembra nato con la Primavera araba. Ci vorrebbe anche una buona autocritica da parte degli arabisti e i criteri che adottano per scegliere, proporre e tradurre i libri. Io vedo molti libri tanto firmati quanto poco curati.

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