Come vendere (al meglio) l’Islam al femminile in libreria. Strategie di un marketing che ha un pò stufato.

Premessa #1: questo è un post leggermente polemico!

Premessa #2: non ho letto il libro in questione e dunque le prossime righe sono mie considerazioni personali e preliminari che attengono principalmente all’operazione di marketing che sta dietro il libro.

Tutto nasce da qui: la casa editrice italiana Piemme ha appena pubblicato un libro dal titolo L’amore è un foulard, dell’inglese Shelina Zahra Janmohamed, nata e cresciuta a Londra e musulmana di religione. Una giovane musulmana europea di cui però non sono riuscita a capire il paese di origine (ho spulciato ovunque, ma dal web non si riesce a cavare un ragno dal buco!).

Di lei si dice:

Nel caso di Shelina, la faccenda è ancora più complicata. Perché lei, nata in Inghilterra, studentessa di Oxford, e cresciuta a Grease, musica pop e curry, è di origini musulmane.

(..e che starebbe a significare?!)

Il titolo originale del libro in inglese è: Love in a headscarf, ovvero letteralmente, L’amore in un foulard. Foulard, cioè velo.

Il sottotitolo è: Muslim women seeks the One, che più o meno suona così: Le donne musulmane alla ricerca di quello giusto (l’Uomo, per intenderci).

Quindi di che parla il libro?

Nella sua cultura trovare Quello Giusto è una cosa seria, un’impresa collettiva che coinvolge tutta la famiglia. Shelina non si fa mancare niente di ciò che fanno le sue coetanee in cerca d’amore: appuntamenti al buio, i dubbi: gli piacerò, mi piacerà, come mi devo vestire, chiamo io o aspetto che mi chiami lui? Le delusioni, per quello che non si fa più sentire, quello che mi piaci, ma sei troppo bassa, quello che la lascia aspettare due ore al bar per vedere finire la partita. Solo che per lei, gli incontri sono “allargati”, e tutti, genitori, cognati, lontane zie comprese, dicono la loro. Deliziosamente sospeso tra jeans e velo, mascara e samosa, speed date e incontri combinati, una memoir ironica e spiritosa che unisce riflessioni profonde e universali sul senso dell’amore, della diversità, del rispetto tra le culture e dei pericoli dei pregiudizi a una gustosa vena chick-lit.

E fin qui, già avrei da ridire…

Veniamo poi alle copertine delle due edizioni, che sono peraltro identiche tranne per qualche colore. Il colore dominante è il violetto, amorevolmente contornato dal rosa e dal glicine. Nel titolo inglese spunta al posto della O di Love un delizioso cuoricino, che fortunatamente scompare nella versione italiana. Il lettering insomma sembra fatto apposta per inserire il libro nelle sezioni “libri rosa” delle librerie!

Inoltre: leggendo il blog della giovane autrice scopro che…il libro è nato dal blog stesso! Ma questa sì che è una novità! O forse no?! Non so perchè, ma a me ha ricordato tanto il romanz(ett)o scritto dall’egiziana Ghada Abdel Aal, Che il velo sia da sposa, uscito qualche anno fa e anch’esso nato da un blog!

Ancora, sul sito web del libro la giovane autrice scrive che:

If you walk into any bookshop you will find stories of Muslim women with words like “oppressed” “sold” or “kidnapped” in the titles. Their tales of horror rightly need to be told, and the abuses which have been perpetrated need to be stopped. However, this genre of misery-memoir about Muslim women is fed constantly by publishers eager to confirm and exploit this stereotype. The tales are topped off with accounts of rejection of Islam and the nirvana of “liberation” from it. Both of these archetypal stories feature book covers almost exclusively of women with sad oppressed eyes staring out from behind a tightly wrapped niqab, camels and deserts in the background.

Niente di più vero, non posso che confermare: la moda della donna musulmana oppressa divampa ancora senza ostacoli nelle nostre librerie, ormai da anni. A titolo di esempio cito Bruciata viva (Mondadori), che mi fu regalato da mia madre anta anni fa con mio grande orrore!

In conclusione però, mi sembra di poter dire che anche l’operazione di marketing legata a L‘amore è un foulard rinfocola uno stereotipo, che è diametralmente opposto a quello reiterato dalle compagne di libreria di Bruciata viva! Lo stereotipo della giovane donna musulmana, europea, super integrata, alla moda, chich e un pò frivola (e chi non lo è?), che va in giro con i tacchi, si trucca e porta il velo ed è alla ricerca come tutte, dell’Uomo giusto!

E’ come se il racconto che viene narrato delle musulmane di oggi viaggiasse all’interno di un continuum i cui estremi sono sempre gli stessi: la donna oppressa e umiliata (per colpa degli uomini) –>la donna occidentalizzata e alla moda alla ricerca costante dell’ Uomo (per colpa degli uomini), che porta il velo.

Sembra quasi che per vendere l’Islam al femminile in libreria, per quella fetta di mercato non riservata agli addetti ai lavori, sia necessario affermare: “sono oppressa, dunque sono musulmana/porto il velo, dunque sono musulmana” (ma, in questo secondo caso, il velo diventa il simbolo dell’Islam anche quando si parla di uomini, amore e matrimoni).

Non sono per formazione un’esperta di Islam, e quindi mi fermo qui. Però l’impressione che ne ho ricavato è che, ancora una volta, le ragioni di mercato delle case editrici (occidentali?) prevalgono sulla necessità di diffondere una conoscenza obiettiva e informata dell’argomento in questione, che è quello della vita e delle storie delle donne arabe e non, di religione musulmana.

E un memoir glitterato e rosa,a mio modesto parere, non contribuisce granchè a far luce sulla questione.

9 commenti

  1. Probabilmente hai ragione su tutto, però lo stesso discorso commerciale-editoriale che viene fatto sulle donne musulmane lo possiamo fare, per esempio, anche per la letteratura per l’adolescenza (anche lì uno studio delle copertine ci rivela che gli adolescenti sono un target commerciale e sono visti come cupi, tristi e disadattati) o per quella letteratura che un tempo si chiamava rosa e che ora grazie a Sex and the City e alla Kinsella è stata sdoganata…Quello che mi chiedo è: se noi occidentali possiamo essere frivoli, ci è concesso di esserlo, perché non lasciare al mondo arabo le sue frivolezze e i suoi romanzetti?Accanto a Mahfuz, Salwa Salem, Kanafani etc. ci sono anche le scrittrici rosa, pazienza, anche loro rappresentano uno spaccato di società e di lettori che esistono nella realtà. Se nell’editoria italiana, non solo di nicchia, ci fossero solo romanzi rosa e quelle orrende produzioni commerciali tipo “murata viva” ti darei ragione al cento per cento ma per fortuna, avrai notato, qualcosa si muove e anche case editrici più importanti stanno pubblcando, con buone traduzioni, dei romanzi interessanti. (vedi Feltrinelli e Neri Pozza)
    Adesso sta a noi come pubblico e come amanti della letteratura araba spingere perché si facciano più traduzioni e senz’altro un blog ben fatto come questo va nella giusta direzione, ma lasciamo che esistano pure momenti più lievi e donne a musulmane sicure con i tacchi a spillo e il velo svolazzante.

  2. Cara Luisa, probabilmente ho una sorta di innato pregiudizio nei confronti del cosiddetto genere chick-lit, tout court.
    Quello che contesto qui è l’appiattimento dell’offerta editoriale sull’argomento “donna musulmana”, che è oppressa o frivola&frizzante e alla ricerca di un uomo. Gli esempi che hai citato tu sono validissimi, ma parliamo di scrittori ormai considerati “classici” della letteratura araba moderna. Il discorso è che oggi sembra vendere (o magari no?) molto il binomio donna (velata) – Islam, mentre forse il velo è solo nella testa di chi con le donne interagisce, come oggi qualcuno saggiamente mi ha scritto :).

    p.s. Non ho nulla contro Piemme, che fra l’altro ha pubblicato testi che a me sono piaciuti, da Il bell’ebreo (anche se la frase sul retro di copertina se la potevano pure risparmiare…), a La sposa ribelle (anche se il titolo originale era حكايتي شرحٌ يطول!!). Ok, forse un pò su con Piemme ce l’ho, dopotutto…

  3. Hello! This is Shelina, the author of the book. Thank you so much for taking the time to write the comment. It’s very interesting for me to understand more about the book market in Italy. I don’t speak Italian, so I’m relying on Google translate to help me understand what you’ve said (which could be a mistake!)

    The first thing I’d say is – please read the book! I’d love to hear your thoughts on the content. One of the many challenges in writing/publishing the book was that when it first came out, publishers did not understand how the story could be ‘positive’ or (as google translate suggests ‘sparkling’) because this was 2009 and since then the market has developed.

    Although I have said I’m not convinced by the chick-lit positioning of the book, this was the direction the publishers felt would have most appeal, and would gain the most readers, which was my ultimate goal. So the cover is designed to stand out in that context. You compare it to the misery memoir genre and that is right, because those covers are all dark, miserable and oppressive, and when this cover came out it was a huge contrast. Since then, imagery of Muslim women is changing, albeit still slowly. You can see some of the other international editions here http://www.loveinaheadscarf.com/site/?page_id=7

    BTW, I’m not Arab. But I do hope, in response to your point about objective and knowledgeable subject matter, that you will find the content of the book gives some insight into what it is like growing up as a Muslim woman in London. Important stories don’t only come in the format of political or misery memoirs. Spiritual quests like mine – wrapped up in a story of Love (in all its many meanings, not just romance) – can tell us something about the times and social contexts that we live in.

  4. Dear Shelina,
    thank you for this and for your kind words. Indeed, I will read the book and let you know about it.
    However, my post was not about the book’s content, but it referred more on the marketing strategies behind the choice the publishers made in order to attract more readers (which, is a quite disputable issue, as far as I’m concerned!). I am glad to read that you too did not like the fact that the book was positioned among the chick-lit books (which also resembles some kind of odd&old Orientalism we should really get rid of!), but still i think that if the book’s message is honest and clear, it gets to the readers’ heart, no matter how much the cover is fashionable and “sparkling”.
    As for the Italian book market..it’d be a way too long to explain, but, shortly, it seems that the publishers keep givin’ the readers what THEY think the readers woul like/should read :)

  5. Ahah, bell’articolo! Tra l’altro, anch’io rimasi più sconvolta del solito apprendendo che il titolo originale di “Che il velo sia da sposa” è “3aiza atgawwaz” (stesso titolo del blog, appunto)! La bella pensata dell’editore italiano è stata quindi di trasformare un neutro, innocuo e poco sensazionalistico “Voglio sposarmi” in una specie di “Non voglio indossare nessun velo, a meno che non sia da sposa”. Mi viene da contorcermi tuttora, mentre lo scrivo…

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